«I nostri medici li vogliono tutti e vengono assunti in tutto il mondo. Questo succede grazie a un percorso formativo duro e selezionato. Perciò, qualunque sia il sistema scelto per l'università è fondamentale che ci sia meritocrazia e che ai ragazzi si dia la certezza di un lavoro ben pagato e ai pazienti la garanzia dei medici migliori». Lo sottolinea il ministro della Salute Beatrice Lorenzin intervistata da DoctorNews a margine dell'incontro informale coi ministri dell'Unione europea svoltosi a Milano. Il ministro preferisce non esprimersi sulla riforma ventilata dalla collega del Miur Stefania Giannini «finché non l'ho vista e non ne ho valutato insieme ai tecnici di programmazione sanitaria tutti i pro e i contro" anche se sottolinea come «non si cerchi consenso su queste cose».
Ministro nell'ultimo periodo si è fatto un gran parlare di riforma dell'Università e in particolare di un possibile modello francese con selezione solo a partire dal primo anno. Che cosa ne pensa?
Ho chiesto al ministro Giannini di avere un tavolo di lavoro con un approfondimento sul tema. Il ministro del Miur sostiene che quanto riportato dai giornali non sia preciso e come ci sia un'idea più avanzata alla base della riforma. Per questo ho chiesto un confronto. Certo c'è il timore che salti la capacità di programmare i posti di lavoro perché il sistema al momento è basato su una ferrea programmazione. Quanti medici ci servono tra 10 anni? Quanti infermieri? Quanti radiologi? In più l'università è organizzata con lavoro frontale, pochi allievi per un professore e sulla disponibilità di laboratori. Condizioni organizzative che permettono l'eccellenza, tanto che dagli indicatori di performance risulta come i nostri medici laureati li vogliano in tutto il mondo proprio per effetto di un percorso duro ed estremamente selezionato. Il problema è il test non adeguato? Si modifichi ma si eviti di cercare il consenso su queste cose e si mantenga una selezione meritocratica che dia ai ragazzi la certezza di un lavoro ben pagato e vero ma anche ai pazienti i medici migliori.
Quindi niente accesso generalizzato al primo anno?
Garantirlo è possibile solo a partire da una selezione valida nella scuola secondaria ossia già nell'ultimo triennio del liceo, come avviene in Francia, offrire orientamento sulla formazione universitaria. Poi bisogna avere presente che ci si troverà di fronte a un primo anno rivoluzionato non solo per medicina ma anche per farmacia, biologia e chimica. Una rivoluzione alla quale non mi sento di dire sì o no prima di averla vista e averne valutato insieme ai tecnici della programmazione sanitaria tutti i pro e i contro. E valutare così se sia una cosa fatta bene e soprattutto necessaria.
Intanto il concorso per la formazione in medicina generale si è svolto tra le polemiche e le denunce di irregolarità. Pensate di intervenire?
Noi, budget permettendo, mandiamo ispettori per le opportune verifiche dove necessario.
Veniamo alla professione. Un'indagine Anaao-Swg appena presentata dipinge i medici come "stressati, delusi ed economicamente insoddisfatti". Che cosa ne pensa?
Li capisco. Basta andare in un Pronto soccorso di una grande città italiana per vedere operatori che lavorano tantissimo e in condizioni di stress enorme, anche perché c'è il terrore dell'errore. Non solo si lavora in situazione di emergenza e urgenza ma, oltre a pensare di salvare una vita, ciò per cui sei addestrato, devi pensare che se fai una cosa un po' a rischio ti faranno causa. A questa situazione si aggiunge il blocco del turn over, la precarizzazione della professione e il mancato rinnovo contrattuale. La situazione del settore degli operatori sanitari ha una specificità, non solo economica, per cui mi rendo conto che ci sia stress per un lavoro che non si può considerare "normale" nel bene e nel male.
E a chi dice che al Governo manca un'idea di sanità del futuro che cosa risponde?
Io l'idea di sanità del futuro ce l'ho molto presente e l'ho presentata nel Patto per la salute. Ciò premesso per realizzare questa sanità dobbiamo capire dove ci troviamo. Stiamo attraversando una crisi economica terribile e dobbiamo lavorare con i mezzi a nostra disposizione. Questo significa che tutti gli attori devono essere responsabilizzati: operatori, Governo e Regioni. La riforma del titolo V, per intendersi, è una delle principali cause dei nostri problemi sanitari, ma io non posso prescinderne e devo lavorare con l'esistente e con le regole che ho, anche se non escludo per il futuro una riforma del titolo V.
Quali sono le linee guida della politica sanitaria attuale perciò?
Non sprecare, essere efficienti e misurare le performance prima durante e dopo. A questo bisogna fare riferimento non alle teorie. Tutto questo è scritto nero su bianco nel Patto per la salute che contiene il Patto per la salute digitale che a sua volta contiene nuovi accordi sul personale, ma per realizzare tutto questo ho bisogno di tempo. Perché la Sanità del futuro si fa col presente.
Un accenno infine alla due giorni coi ministri Europei. Una due giorni informale ma densa di contenuti. Com'è andata?
E' andata molto bene. Gli incontri informali non portano a conclusioni ma permettono di avviare un ragionamento più profondo utile per i successivi consigli europei. L'aspetto più rilevante, dal mio punto di vista, è stata l'introduzione di un tema che non c'era nell'agenda europea e di grandissima attualità anche per i prossimi anni, che è quello dell'innovazione farmacologica sia rispetto all'approccio al paziente sia rispetto alla sostenibilità dei costi. Il tutto mettendo intorno a un tavolo investitori, player, regolatori, industria, associazioni di pazienti. Il punto è trovare un bilanciamento tra chi investe in innovazione farmaceutica e i pazienti che acquistano i farmaci. Gli investimenti devono essere ripianati in modo sostenibile per i sistemi.
Il caso Sofosbuvir, il farmaco per l'epatite C, è emblematico
Assolutamente è un caso che fa scuola. Del resto per 15 anni non abbiamo avuto nuove molecole ora invece arrivano e arrivano anche nuove tecnologie. Per rapportarsi a questi sviluppi bisogna avere un Health tecnology assessment molto forte e più coordinato a livello europeo in modo da verificare che l'innovazione sia reale e che ci sia appropriatezza. Poi c'è il capitolo prezzi e il caso del farmaco anti epatite C è eclatante. Per l'Italia ma anche per la Spagna e la Francia pagare il farmaco a prezzo di mercato rispetto alle quote di pazienti, fa saltare i sistemi sanitari. Questo è insostenibile per gli Stati ma anche per le industrie farmaceutiche. Una cosa,però, è emersa da questo incontro: serve una procedura più condivisa per essere più forti e per tenere ricerca e produzione nei nostri ambiti nazionali.
Marco Malagutti - www.doctor33.it