«Un test a fine settembre dopo un mese e mezzo di preparazione intensiva su materie mirate». Potrebbe essere questa secondo Gianpiero Dalla Zuanna, professore di Demografia presso il Dipartimento di Scienze Statistiche dell''Università di Padova, la via giusta per l'accesso alla facoltà di medicina. Il tanto discusso modello "alla francese", che dopo la proposta del ministro Giannini ha acceso il dibattito, non convince l'esperto che al tema ha dedicato un'analisi su La Voce.info. «Premesso che il test ideale è quello sulla base del quale non si deve studiare perché offre l'opportunità di verificare l'effettiva attitudine del candidato» spiega a DoctorNews33 Dalla Zuanna «il modello prospettato presenta evidenti difficoltà organizzative, visto il numero di studenti coinvolti nonché il forte rischio di fabbricare illusioni». Per quale motivo? «Il rischio è dato dal fatto che tutti coloro che dopo il primo anno venissero scartati, potenzialmente anche 50.000 studenti, poi si ritroverebbero "a piedi" o dirottati in altre facoltà per spendere i crediti guadagnati. In più c'è anche il rischio di sottrare gli iscritti al resto del sistema. Con la possibilità di mandare al collasso altre facoltà. Una via, invece» continua «potrebbe essere quella di modificare il test dopo una valutazione accurata di che cosa effettivamente è utile. La domanda è semplice» dice l'esperto «per essere un buon medico che cosa si deve sapere? Se, per esempio, la logica è molto importante per lo svolgimento della professione, che è fatta di deduzione e ragionamento, magari si potrebbe intervenire sulle domande di cultura generale in modo da ridurre i forti elementi di aleatorietà contenuti nel test attuale». Dalla Zuanna, però, ci tiene a sottolineare una novità positiva introdotta nell'ultimo anno accademico, quella di introdurre una graduatoria nazionale abbandonando le graduatorie locali. I vantaggi? «I dati sono inequivocabili e evidenziano due conseguenze principali» spiega. «La mobilità degli studenti si è drasticamente innalzata, in direzione di quelle città dove, se la graduatoria fosse stata locale, il punteggio medio al test delle matricole sarebbe stato molto più basso e in più la graduatoria nazionale ha effettivamente premiato il merito, favorendo gli studenti con i punteggi migliori al test». L'auspicio, spiega l'esperto, è quello di generare un meccanismo virtuoso con ricadute sull'innalzamento della qualità delle scuole superiori. «Č un'ipotesi illuminista» conclude «ma la meritocrazia dovrebbe alzare il livello e indurre un meccanismo che porta il sistema a chiedere maggiore qualità».
Marco Malagutti - www.doctor33.it